Bullet Train

Ladybug è un agente di una misteriosa organizzazione, che gli affida incarichi oltre i confini della legalità. Non si considera un assassino: è solo colpa della sfortuna se la gente finisce per morire durante le sue imprese. Questa volta avrebbe un incarico facile facile: rubare una valigetta sullo Shinkansen, il “treno-proiettile” ad altissima velocità che collega Tokyo e Kyoto. Peccato che la valigetta sia sotto la custodia di una coppia di ciarlieri ma pure letali sicari: Lemon & Tangerine, ossia limone e mandarancio. I due hanno con loro anche il figlio della Morte Bianca, un boss criminale di origine russa che ha preso il controllo di una fazione della yakuza. Ma non è tutto: sul treno viaggia The Prince, una ragazzina solo apparentemente indifesa e con un piano machiavellico, che ricatta il giapponese Kimura perché lavori con lei. Inoltre sono della partita altri due assassini: Hornet, micidiale con i veleni, e Wolf, sicario messicano in cerca di vendetta.

Tratto dal romanzo “I sette killer dello Shinkansen. Bullet Train” di Kotaro Isaka, il film di David Leitch riscrive i personaggi rendendoli non più solo giapponesi bensì internazionali, in modo da farli incarnare da star più o meno di grido. Alla sceneggiatura c’è Zak Olkewicz, che ha nel curriculum solo un Tv Movie e che si dimostra del tutto inadeguato a sintetizzare cinematograficamente il materiale di partenza – infatti la durata supera di poco le due ore. Leitch è noto per la co-regia del primo capitolo di John Wick, cui ha fatto seguire altri action come Atomica Bionda, Deadpool 2 e Fast & Furious: Hobbs & Shaw, titoli sempre più sopra le righe con una crescente dose di commedia, ma pure spettacolari e piuttosto violenti. Bullet Train però fa un ulteriore salto e rende l’azione quasi secondaria, concentrandosi sui battibecchi e su attori che si rivelano a sorpresa.

La ricetta a base di assassini ridicoli che si fronteggiano per un MacGuffin non è nuova: siamo dalle parti dei film tarantiniani che si moltiplicavano tra la seconda metà degli anni ’90 e i primi anni del nuovo millennio. Spesso realizzati per il mercato home video o televisivo, puntavano sulla violenza gratuita coreografata alla bell’e meglio e su dialoghi che scimmiottavano, quasi sempre malamente, il virtuosismo di Pulp Fiction. Bullet Train ne costituisce una sorta di aggiornamento di lusso, con un cast di volti celebri o emergenti da Brad Pitt a Brian Tyree Henry, e con alcune scene a base di massicci effetti speciali in CGI.

Peccato che poi il punto di forza di Leitch, ossia i combattimenti corpo a corpo, risulti sacrificato all’instancabile parlantina dei protagonisti e ai flashback, che cercano di dimostrare quando ingegnoso sia l’intreccio. Addirittura il villain, che entra in scena per ultimo, fa uno di quei monologhi dove spiega il suo piano e manca solo che si arricci i baffi congratulandosi con se stesso per la propria astuzia. Naturalmente Bullet Train cerca di far digerire la parlantina con l’aiuto dell’ironia, ma non bastano i continui ammiccamenti per dimenticarsi di quanto tutto sia trito e ritrito.

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